Ad Agrigento la protesta si è fatta sentire un'altra volta.
In questo caso non è stato il consiglio comunale con la questione delle commissioni a fare infuriare i cittadini e gli studenti in particolare, ma la possibile chiusura del polo universitario dipendente da Palermo.
L'università agrigentina è relativamente giovane ed è nata, dopo anni di strenua lotta, per consentire anche agli abitanti di questa desolata parte della Sicilia di potersi laureare senza dovere affrontare gli alti costi e gli stressanti viaggi che il trasferimento in una delle altre città universitarie presenti sul territorio comporterebbe.
A dire il vero il polo ha ospitato fin dall'apertura solo poche facoltà, garantendo tuttavia il diritto allo studio a moltissimi giovani, senza dimenticare l'indotto economico che c'è stato grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro legati alla nascita della struttura, alla possibilità per i locali presenti in città di ampliare la loro clientela fatti di giovani universitari e, non ultimo, all'introito legato all'affitto degli appartamenti ai fuorisede.
Ma nei giorni scorsi si è palesato il rischio chiusura per il Cupa a causa della mancanza di fondi. E ciò sa di paradosso. Sì, perché il polo andrebbe potenziato con nuove facoltà e servizi, anziché chiudere i battenti.
Cosa resta ad una città quando viene preclusa ai giovani la possibilità di studiare? Lamentarsi perché la cultura ha i giorni contati non serve a nulla se a ciò non segue un energico tentativo di rivolta a questo meschino stato di cose.
La protesta è l'unica arma da impugnare in situazioni di questo tipo.
Il cambiamento viene dalla conoscenza perché quest'ultima può portare alla rivoluzione culturale. E la rivoluzione culturale, a sua volta, è l'unico mezzo che i cittadini hanno per migliorare il Paese.
Renderci tutti ignoranti, privi di un titolo più o meno spendibile nel mondo del lavoro, potrebbe essere un'arma efficace per chi pensa di instaurare una dittatura ideologica oltre che politica.
Il diritto allo studio, quindi la possibilità di avere l'università vicino casa, soprattutto per chi non ha i mezzi economici per studiare fuori ma non vuole rinunciare a crescere personalmente e professionalmente, non può essere negato ai cittadini, almeno finché si vive in uno stato democratico.
Dunque gli organi preposti devono sempre, immancabilmente e in maniera improrogabile, occuparsi di situazioni di questo tipo, trovando in qualsiasi modo i fondi da destinare alla cultura e all'istruzione; infatti, nonostante spesso si dica che di cultura non si sopravvive, essa resta comunque alla base di ogni società civile.
©DeniseInguanta
Nessun commento:
Posta un commento