martedì 18 settembre 2018

FENOMENOLOGIA DELL'AMORE, DIALOGANDO CON FRANCESCO POSTORINO

Francesco Postorino è laureato in Giurisprudenza ed è Ph.D. in Filosofia politica e morale. 

Ha approfondito le sue ricerche presso l’Università Paris 1-Sorbonne. Si occupa soprattutto di neoidealismo italiano ed europeo e di socialismo liberale. Collabora con alcune riviste scientifiche e alle pagine culturali dei quotidiani. Tra le sue pubblicazioni: Croce e l’ansia di un’altra città (Mimesis Edizioni), Carlo Antoni. Un filosofo liberista, pref. di Serge Audier (Rubbettino); Democrazia in Lessico Crociano (La Scuola di Pitagora ed.); Bobbio et le Marxisme (“Droit&Philosophie”).



Francesco Postorino


Abbiamo dialogato con lui per approfondire un argomento tanto affascinante quanto difficile: “l’amore”.


Ha ottenuto grande riscontro tra i lettori un tuo articolo sull’amore pubblicato di recente su L’Espresso, in cui hai dato tante definizioni di questo sentimento. Ma in definitiva cos’è l’amore per te?
Potrei scrivere lunghe pagine, lavorarci giorno e notte, inventare teorie su teorie. Nei momenti di disagio o di sconforto potrei domandare alla luna, spettegolare con il vento e sospendermi tra i fili della purezza, ma non riuscirei ad afferrarne l’odore e il senso. «Definire», infatti, significa prigione, congelamento, morte, finitudine, passato, giudizio, matematica, bon ton. Molto meglio mettersi in ascolto dell’amore e non dire nulla. Preferisco farmi parlare dai gesti, dalle smorfie innocenti, dalle inquietudini, dalle panchine dell’amore. Anche i protagonisti del Simposio di Platone arrossirebbero di fronte a un bacio adolescenziale che accade un passo oltre il mondo. Quel bacio che sa continuare nella severità del qui, ed è talmente forte che sovrasta le sceneggiate libertine, gli spettacoli dell’inerzia, il grigio della «prima vita».

Nel tuo articolo accenni anche ad altri tipi di amore.
Sì, vi sono mille declinazioni. L’amore, ad esempio, per il volto di Gesù, per l’immensamente altro, per l’altrimenti, per una trascendenza che grida empatia, un incontro speciale. L’amore di un eterno che vuole abitare in noi. L’amore per una «seconda vita» che fa paura perché sorride più al cielo che alle tenebre. L’amore, dunque, per l’incondizionato, per il sublime, per un’idea alta e altra che il tempo non può irretire. L’amore sofferto da Kierkegaard o quello ‘umanitario’, e ancora l’amore che di improvviso scoppia nel cuore dell’Innominato e in chi ripudia i lupi hobbesiani per assecondare la voce dello spirito. Pensiamo un momento al pianto dell’intimo, e non a quello pornografico ambientato nei salotti mediatici; se le lacrime sono il linguaggio più alto dell’amore, chi meglio della madre di Cecilia (o di una qualunque madre) può capirne il segreto?

Davanti ai casi di femminicidio così diffusi, qualcuno continua a parlare di troppo amore…
Il tema della violenza sulle donne è molto serio, anche se a volte si esaurisce nella finzione cinematografica e nel perverso apparire. Vi sono quelle circostanze del male che si consumano in stanze tetre dove nessuna telecamera potrà mai arrivare. Mi riferisco alle vittime che non hanno nessuna protezione, a coloro che non hanno più la forza di alzarsi dopo le reiterate oscenità. L’amore non conosce violenza, esattamente come la violenza ignora i dettami dell’amore. La tremenda storia di Maria Goretti, paladina della purezza e della verginità, insegna quanto sia prioritario guardare una donna con altri occhi. Anche una semplice carezza va disegnata con molta cura. Bisogna iniziare dall’alfabeto dell’amore: i sorrisi, le coccole, la libertà nella promessa, l’attesa, il perdono, la gioia del cuore, la certezza che lei è unica ma anche l’unica, come direbbe Robin Williams in Will Hunting-Genio Ribelle.

Qual è insomma il miglior modo di amare?
È sempre lo stesso sentire. Un sentire che andrebbe vivificato tutti i giorni. Quando le farfalle e le sirene giocano e scherzano dentro il tuo stomaco, visitando le ossa e le province più nascoste, e ciò ti va ridere come uno scemo oppure soffrire, hai imboccato la strada giusta. Il resto è, tanto per cambiare, sentirsi. Come dice il poeta della notte: «Tu non hai idea da dove io provengo, noi non abbiamo idea di dove andiamo. Alloggiati nella vita come rami nel fiume che scorrono a valle catturati dalla corrente: io porto te, tu porti me».

Qual è l’ultimo libro che hai letto sull’amore?
Ho riletto in queste ore il Quarto Vangelo, quello della poesia, dello spirito e quindi dell’amore.

Ti sei occupato di democrazia per il volume “Lessico crociano”. La democrazia è un tema di grande dibattito in questo momento storico. Credi che andrebbe in parte collegata alla magia dell’amore?
In realtà, in quel volume collettaneo ho provato a fornire in poche righe una interpretazione della democrazia di Benedetto Croce, filosofo storicista cui sono legato sul piano scientifico. Ma io ho altre visioni. Di primo acchito ti rispondo di sì. Al di là degli esperimenti del vecchio Pericle, delle teorie formulate in tempi moderni da Jean Jacques Rousseau, dell’impegno istituzionale, delle questioni tecniche e normative anelate in modo emblematico da Norberto Bobbio, credo che la democrazia sia un intrinseco che andrebbe esteriorizzato con autentica passione. La democrazia, in altri termini, è la calda attenzione che l’uomo offre al suo vicino e al suo «lontano», perché dischiude l’impronta dell’uguaglianza e dell’isotimia, come la chiama Giovanni Sartori, cioè il valore dell’uguale dignità da estendere – aggiungo io – all’ultimo degli ultimi: migranti, prostitute, nuovi lebbrosi, drogati, malati di vario accento, i torturati da un mare per nulla cristiano. Una democrazia in fieri e ontologicamente incompiuta, che viva il sogno cosmopolita fuggendo dalle ombre dell’ipocrisia, senz’altro occupa un ruolo di primo piano nella regia dell’amore.

Nel tuo ultimo volume, invece, utilizzi la strana espressione – anche nel titolo – “ansia di un’altra città”. Si tratta, immagino, di «ansia d’amore».
L’ansia di un’altra città è quando si esce finalmente dalla schiavitù e si entra in modo maldestro nel deserto. Quando il buio cede al primo appuntamento con la luce, e dunque si cerca, si è ansiosi, non si è seduti. Quando si avverte che tutto questo non basta più, e si ha fame di un altrove che a sua volta ti chiama. Non è meraviglioso? Si torna bambini e si cammina con le allodole nelle praterie che ti attendono. Non si è soli.

C’è un filosofo, in particolare, i cui insegnamenti potrebbero essere in qualche modo utili per cercare di porre un argine a questa società alla deriva, dove l’amore rischia di perdere il suo nobile significato?
Pascal tutta la vita.


©DeniseInguanta






























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