giovedì 14 ottobre 2021

"Il fu Mattia Pascal", il romanzo cult di Luigi Pirandello


Continuiamo con la rubrica dedicata al grande Luigi Pirandello. Sei articoli, frutto di studi approfonditi, su sei tra le opere più conosciute del grande scrittore e drammaturgo agrigentino. 

Oggi è la volta de “Il fu Mattia Pascal”


“Il fu Mattia Pascal” è sicuramente uno dei romanzi più noti dello scrittore agrigentino Luigi Pirandello e riveste un’importanza fondamentale nella letteratura italiana del Novecento.



Luigi Pirandello 



Pirandello fu lucido e profondo interprete della crisi dell’uomo contemporaneo angosciato dalla solitudine e dall’alienazione. Nelle sue opere, in particolare ne “Il fu Mattia Pascal”, mette a nudo il vuoto e la falsità di un mondo fondato più su ciò che appare che non su ciò che è effettivamente, così avvia una spasmodica ricerca della verità fino ad arrivare a concludere che non ne esiste una sola, ma ne esistono tante quante sono le situazioni e gli individui. Questa concezione relativistica della vita e dell’uomo si esprime, nell’opera in questione, attraverso una serie di situazioni paradossali e assurde a cui l’autore guarda con amara ironia, ma anche con un sentimento di umana pietà. La sua prosa ne “Il fu Mattia Pascal” è scarna ed essenziale e il suo linguaggio, sobrio e concreto, accentua, di volta in volta, la paradossalità o l’intensità emotiva di certe pagine.

In questo fondamentale romanzo Pirandello non solo definisce il suo relativismo ma cala questa sua concezione della vita nella struttura del racconto.

La vicenda de “Il fu Mattia Pascal”, narrata dal protagonista, è abbastanza nota. Mattia, stanco di una vita da inetto e amareggiato dalla convivenza con la moglie e la suocera, abbandona la famiglia pensando magari d’imbarcarsi per l’America. Capita per caso a Montecarlo dove vince alla roulette una grossa somma con cui forse potrebbe rimettere in sesto il suo patrimonio e la sua vita tornando a casa. In treno gli capita di leggere una strabiliante notizia di cronaca: in un cadavere pescato nella roggia di un mulino, un giorno di sua proprietà, la moglie e la suocera hanno riconosciuto proprio lui. In un baleno gli si apre la possibilità di ricostruire la propria vita liberandosi di tutto il suo passato e assumendo un’identità del tutto nuova. La somma vinta al gioco gli consente di vivere due anni sotto il nome di Adriano Meis, prima viaggiando e poi a Roma. Qui, nella pensione in cui si è stabilito, conosce alcuni strani personaggi e una graziosa ragazza, Adriana, della quale si innamora. La circostanza che gli ha consentito di prefigurarsi una libertà assoluta si rivela però del tutto contraria alle sue attese: poiché ufficialmente non esiste come Adriano Meis, non è in grado non solo di sposare Adriana o di denunciare il furto che ha subito nella pensione, ma neanche di comperare un cagnolino. Da ciò le sue amare parole: “M’è sembrata una fortuna l’esser creduto morto? Ebbene, e sono morto davvero. Morto? Peggio che morto… i morti non debbono più morire, e io sì: io sono ancora vivo per la morte e morto per la vita”. Al personaggio non resta che simulare un secondo suicidio, quello di Adriano Meis, e di rientrare nei panni di Mattia Pascal. Tornando al paese dopo due anni, constata che la vita ha continuato il suo corso. La moglie è sposata in seconde nozze con Pomino, in passato amico inseparabile di Mattia, ed egli rinuncia a far valere i suoi diritti di primo marito di Romilda, lasciando che questa rimanga nella sua nuova sistemazione familiare. Per la strada nessuno dei passanti lo riconosce. Ritorna al vecchio impiego di bibliotecario e si decide a narrare la sua bislacca avventura, sebbene non sappia dire «che frutto se ne possa cavare».

“Il fu Mattia Pascal” ci porta decisamente sul piano schiettamente e originalmente pirandelliano: si può dire che in questo romanzo ci siano già tutti i tratti salienti dell’arte pirandelliana, quel «sentimento del contrario» che egli teorizzò meglio qualche anno dopo, quel contrasto fra la «forma» e la «vita» che fu il motivo dominate della sua cognizione della realtà. Il protagonista allontanandosi dal suo ambiente tenta di ricostruirsi una nuova esistenza, libera, diversa e autentica. Ma, anche nella nuova realtà nella quale si inserisce, egli a poco a poco è invischiato da mille nuove limitazioni, assurdità e incomprensioni. Nel momento stesso in cui si accorge di avere inutilmente reduplicato se stesso, Mattia Pascal pone fine alla sua finzione: la sua evasione si è conclusa con una sconfitta. Egli è «il primo personaggio in cerca di autore», il primo protagonista pirandelliano che chiude la sua anarchia rivolta contro la «forma», alla quale la società e il destino lo avevano condannato, con un consapevole fallimento, perciò ha una funzione paradigmatica. Dietro di lui verranno tanti personaggi che si affollano nella narrativa e nel teatro di Pirandello, ma a più di uno di essi non sarà data neanche la possibilità di sperimentare quel momento di libertà che Mattia Pascal riesce a vivere nonostante tutto.

“Il fu Mattia Pascal” fu l’opera con la quale morì il romanzo dell’Ottocento naturalista e si affacciò il volto problematico e tormentato del Novecento. Fu proprio in questo romanzo che Pirandello illustrò la “lanterninosofia”, la sua teoria filosofica, esposta nel tredicesimo capitolo ad opera di un personaggio, Anselmo Paleari. Secondo questa teoria, a differenza del mondo vegetale, privo di sensibilità, l'essere umano ha la sfortuna di avere coscienza della propria vita, cioè di "sentirsi vivere", con la conseguenza di subordinare la realtà esterna oggettiva a questo sentimento interno della vita, la cui caratteristica è l'ingannevole mutevolezza.

Il romanzo di Pirandello è stato adattato anche per il teatro, nel 2004, da Tullio Kezich. Massimo Dapporto recitava la parte di Mattia Pascal. Anche Il Teatro Prova di Bergamo, nel 2008, ne ha curato una riduzione teatrale, incrociando la storia del romanzo a quella del suo autore: “Io sono la tua pazzia”. La regia è di Stefano Mecca e vede Max Brembilla, Andrea Rodegher e Alessandra Spinelli in scena. Sono, invece, tre le trasposizioni cinematografiche dell'opera di Pirandello. La prima, muta, risale già al 1926: “Il fu Mattia Pascal”, per la regia del francese Marcel L'Herbier e con Ivan Mosjoukine nel ruolo di Mattia. Nel 1937 è ancora la volta di un regista francese, Pierre Chenal, che scelse Pierre Blanchar come protagonista per il suo “Il fu Mattia Pascal”. Nel medesimo anno fu distribuita anche una pellicola di produzione italiana firmata sempre da Chenal dallo stesso titolo. La più recente versione è italiana: nel 1985 Mario Monicelli dirige “Le due vite di Mattia Pascal”, una versione trasferita ai giorni nostri, con Marcello Mastroianni.

  ©DeniseInguanta







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