C'è un italiano, di quella meravigliosa Sicilia che offre panorami mozzafiato, che ha diretto le più grandi orchestre in America.
E' anche pianista, musicologo e compositore. Il suo nome è Simeone Tartaglione ed è motivo di vanto per tutti i suoi concittadini agrigentini, pur vivendo da anni negli Stati Uniti.
E' anche pianista, musicologo e compositore. Il suo nome è Simeone Tartaglione ed è motivo di vanto per tutti i suoi concittadini agrigentini, pur vivendo da anni negli Stati Uniti.
Simeone Tartaglione |
Si
è diplomato alla scuola di composizione e direzione d'orchestra presso il
Conservatorio Santa Cecilia di Roma con Bruno Aprea e perfezionato con Gustav
Meier presso il Peabody Institute della Johns Hopkins University (istituzione
che ha prodotto ben 36 premi Nobel) e Harold Farberman presso la Bard
University di New York.
E' notevole
la sua esperienza come direttore nel repertorio sinfonico e operistico con
orchestre di otto diverse nazionalità; ha registrato diversi CD e DVD, anche in
coppia con la moglie, la violinista Alessandra Cuffaro che è anche la prima
esecutrice italiana dei 24 Capricci di Paganini.
Simeone
Tartaglione ha anche scritto una monografia, “Teresa Procaccini, una vita per
la musica”, che è stata recensita da
numerose testate nazionali e tradotta in inglese.
Negli
anni ha raccolto molte apparizioni sui media, tv satellitari italiane, come RAI
International, e tv e radio americane (NBC, Fox News, CNN). Numerose anche le interviste
e le recensioni a lui dedicate, apparse
su numerosi giornali italiani e stranieri tra cui Washington Post, News
Journal, El Pais, etc.
Durante
la sua carriera ha ricevuto molti importanti premi e riconoscimenti come direttore,
pianista e compositore.
Non
ultimo, il Ministero dell’Immigrazione USA nel 2010 gli ha riconosciuto il
raro visto O-1 come “musician of extraordinary abilities”. E tanto altro ci sarebbe da dire su di lui, eclettico
E' partito dalla Sicilia per arrivare a ottenere il successo a livello internazionale, in particolare in America. Quanto è stato difficile fare questo percorso?
Lasciare la propria terra, i propri cari, amici, profumi, sapori e colori lascia un vuoto non facilmente colmabile. Sotto questo aspetto il percorso è stato non facile e la nostalgia non scompare, come diceva il caro Professore Giuseppe Jannuzzo ”L’allammicu” ci fa spesso compagnia. Ma negli Stati Uniti la società è costruita sul merito, non è concepibile qui che tutti abbiano tutto e subito, ma si deve dimostrare di meritarlo per ottenerlo e mantenerlo. Ti danno però la possibilità di mostrare cosa sai fare e così anche se non conosci nessuno e non hai alcuna raccomandazione o conoscenza puoi salire la scala del successo in qualunque campo. In questo gli USA sono un modello da imitare in tutti i settori. Il concetto del posto fisso, dell'impossibilità di essere licenziati come succede spesso in Italia, è pressoché sconosciuto, tutti sono legati all'idea di produttività. In altre parole, l'America ha un sistema che naturalmente tira fuori il meglio dai suoi abitanti, indipendentemente dalle loro origini, cultura e condizioni iniziali. Nella mia esperienza i capi sono quelli cha vanno a lavoro per primi e tornano a casa per ultimi, danno l'esempio. Non ho mai avuto problemi con musicisti in ritardo per esempio, anche nelle orchestre giovanili. Ricordo di aver visto una prova in un teatro italiano dove il capo orchestra dovette chiamare i musicisti 3-4 volte al microfono ricordando che la pausa era finita e la prova doveva ricominciare. Una cosa del genere è inconcepibile qui, tutti i ritardatari sarebbero stati licenziati su due piedi e nessun sindacato li avrebbe mai difesi. Qui sembra esserci un'etica del lavoro che permea e rende orgogliosi i lavoratori di fare il proprio dovere e per questo chi fa del proprio meglio e mostra qualità, iniziativa, professionalità e competenza viene premiato e va avanti, così è successo a me come a tanti altri italiani.
Come cambia il modo di concepire la musica dall'Italia all'America?
Il fatto che la produttività è alla base della struttura americana fa sì che gli elementi “misurabili” della musica hanno avuto uno sviluppo maggiore che in Italia. Per esempio, l'intonazione, l'insieme, la tecnica e la precisione, in media, sono superiori rispetto a noi. Quello che a volte manca però è l'intensa vita che noi Italiani mettiamo tra una nota e l’altra. La nostra immaginazione, la ricerca di colori, la flessibilità dei tempi, l’associazione di immagini o anche di storie con le frasi musicali arricchiscono la produzione musicale.
La scelta di trasferirsi in America è stata libera o forzata dalla necessità di trovare nuovi orizzonti che l’Italia non era in grado di offrirle?
Cosa prova quando si esibisce con l’orchestra?
Tra tutte le innumerevoli esperienze professionali che ha vissuto quale ricorda con particolare soddisfazione?
Simeone Tartaglione |
Ha compiuto gli studi in Italia per poi perfezionarsi in America. Ha notato grandi differenze tra la preparazione offerta in Italia e quella in America?
Sono stato molto fortunato in Italia perché gli
studi di pianoforte, con Laura Riolo e Livia Paunita, la musicologia con il
Prof. Carapezza all'Istituto di Musicologia di Palermo, e Composizione e
Direzione a Santa Cecilia a Roma con Procaccini e Aprea, hanno formato una
coscienza musicale a tutto tondo. La grande differenza in America è
l’attenzione verso il direttore come un CEO di un'azienda, un manager che
deve sapere di musica ma anche di business. Quello che cerco di fare con i miei allievi è di
bilanciare l’offerta formativa in questo senso e con maggiore attenzione
all'opera. L’opera, al di là del valore inestimabile delle composizioni, è essenziale
nella formazione dei musicisti perché aiuta a liberare l’espressione, a immaginare, a capire come il fatto emotivo può essere espresso in musica. E per
i direttori è essenziale, infatti una sinfonia con una buona orchestra può arrivare
alla fine senza grandi incidenti anche se il direttore è incapace, un'opera a meno che il direttore sia bravo
cade a pezzi nelle prime 10 battute dopo l’overture!
Adesso che vive in America, come vede la musica classica italiana? Cosa apprezza e cosa invece cambierebbe?
Tornerebbe a vivere e a lavorare in Italia?
Penso di sì ma non so se stabilmente però. Dopo
avere assaporato un sistema ben equilibrato avrei un po’ di titubanze a
lasciarlo per un sistema che prova nel tempo di essere inefficace. Ma come il
mio amato Maestro Meier ci diceva alla Johns Hopkins University "per essere
direttori dovete essere ottimisti" e così per deformazione professionale credo
che il meglio sia sempre possibile.
©DeniseInguanta
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