mercoledì 18 novembre 2015

SIMEONE TARTAGLIONE, UN DIRETTORE D'ORCHESTRA TRA ITALIA E AMERICA

C'è un italiano, di quella meravigliosa Sicilia che offre panorami mozzafiato, che ha diretto le più grandi orchestre in America. 
E' anche pianista, musicologo e compositore. Il suo nome è Simeone Tartaglione ed è motivo di vanto per tutti i suoi concittadini agrigentini, pur vivendo da anni negli Stati Uniti.
Simeone Tartaglione
Si è diplomato alla scuola di composizione e direzione d'orchestra presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma con Bruno Aprea e perfezionato con Gustav Meier presso il Peabody Institute della Johns Hopkins University (istituzione che ha prodotto ben 36 premi Nobel) e Harold Farberman presso la Bard University di New York.
E' notevole la sua esperienza come direttore nel repertorio sinfonico e operistico con orchestre di otto diverse nazionalità; ha registrato diversi CD e DVD, anche in coppia con la moglie, la violinista Alessandra Cuffaro che è anche la prima esecutrice italiana dei 24 Capricci di Paganini.
Simeone Tartaglione ha anche scritto una monografia, “Teresa Procaccini, una vita per la musica”, che  è stata recensita da numerose testate nazionali e tradotta in inglese.
Negli anni ha raccolto molte apparizioni sui media, tv satellitari italiane, come RAI International, e tv e radio americane (NBC, Fox News, CNN). Numerose anche le interviste e le recensioni  a lui dedicate, apparse su numerosi giornali italiani e stranieri tra cui Washington Post, News Journal, El Pais, etc.
Durante la sua carriera ha ricevuto molti importanti  premi e riconoscimenti come direttore, pianista e compositore.
Non ultimo, il Ministero dell’Immigrazione USA nel 2010 gli ha riconosciuto il raro visto O-1 come “musician of extraordinary abilities”. E tanto altro ci sarebbe da dire su di lui, eclettico 
Simeone Tartaglione
musicista.


E' partito dalla Sicilia per arrivare a ottenere il successo a livello internazionale, in particolare in America. Quanto è stato difficile fare questo percorso?
Lasciare la propria terra, i propri cari, amici, profumi, sapori e colori lascia un vuoto non facilmente colmabile. Sotto questo aspetto il percorso è stato non facile e la nostalgia non scompare, come diceva il caro Professore Giuseppe Jannuzzo ”L’allammicu” ci fa spesso compagnia. Ma negli Stati Uniti la società è costruita sul merito, non è concepibile qui che tutti abbiano tutto e subito, ma si deve dimostrare di meritarlo per ottenerlo e mantenerlo. Ti danno però la possibilità di mostrare cosa sai fare e così anche se non conosci nessuno e non hai alcuna raccomandazione o conoscenza puoi salire la scala del successo in qualunque campo. In questo gli USA sono un modello da imitare in tutti i settori. Il concetto del posto fisso, dell'impossibilità di essere licenziati come succede spesso in Italia, è pressoché sconosciuto, tutti sono legati all'idea di produttività. In altre parole, l'America ha un sistema che naturalmente tira fuori il meglio dai suoi abitanti, indipendentemente dalle loro origini, cultura e condizioni iniziali. Nella mia esperienza i capi sono quelli cha vanno a lavoro per primi e tornano a casa per ultimi, danno l'esempio. Non ho mai avuto problemi con musicisti in ritardo per esempio, anche nelle orchestre giovanili. Ricordo di aver visto una prova in un teatro italiano dove il capo orchestra dovette chiamare i musicisti 3-4 volte al microfono ricordando che la pausa era finita e la prova doveva ricominciare. Una cosa del genere è inconcepibile qui, tutti i ritardatari sarebbero stati licenziati su due piedi e nessun sindacato li avrebbe mai difesi. Qui sembra esserci un'etica del lavoro che permea e rende orgogliosi i lavoratori di fare il proprio dovere e per questo chi fa del proprio meglio e mostra qualità, iniziativa, professionalità e competenza viene premiato e va avanti, così è successo a me come a tanti altri italiani.

Come cambia il modo di concepire la musica dall'Italia all'America?
Il fatto che la produttività è alla base della struttura americana fa sì che gli elementi “misurabili” della musica hanno avuto uno sviluppo maggiore che in Italia. Per esempio, l'intonazione, l'insieme, la tecnica e la precisione, in media, sono superiori rispetto a noi. Quello che a volte manca però è l'intensa vita che noi Italiani mettiamo tra una nota e l’altra. La nostra immaginazione, la ricerca di colori, la flessibilità dei tempi, l’associazione di immagini o anche di storie con le frasi musicali arricchiscono la produzione musicale.

La scelta di trasferirsi in America è stata libera o forzata dalla necessità di trovare nuovi orizzonti che l’Italia non era in grado di offrirle?
La realtà italiana è purtroppo legata al fatto che i soldi pubblici gestiscono la società. Qui tutte le istituzioni che dirigo si fondano sui soldi privati e in generale la società americana ha uno stato molto più piccolo che da noi. Questo comporta che i soldi privati gestiscono molti dei servizi e il concetto del favoritismo, nepotismo e scambio di favori non ha molto spazio. Il privato gestisce i propri soldi con attenzione al risulto finale. Le mie orchestre vivono di donazioni private, se suoniamo male o facciamo programmi che il pubblico non gradisce le donazioni vanno giù, il mio stipendio va giù, i musicisti lavorano meno, etc... E' un concetto semplice quanto rivoluzionario. In questo l’Italia ad uno come me che non aveva alcun potere forte alle spalle non ha offerto molte possibilità di lavoro. E’ proprio scioccante che in America ci sono decine di audizioni pubbliche a settimana per nuovi direttori, ogni volta che uno va in pensione o si trasferisce o è licenziato, e in Italia i direttori nella stragrande o direi totalità dei casi sono assunti per grazia ricevuta senza nessun bando di concorso. Solo i conservatori hanno un sistema di selezione, ma va per documenti non per audizioni. Cosicchè, anche se è meglio di niente, alla fine la valutazione dei titoli è totalmente alla mercè della commissione. Questo spesso dà dei risultati al limite del ridicolo, dove un concertino nella parrocchia del paese viene valutato più di uno a New York! Con una realtà di questo tipo, purtroppo, dopo aver ottenuto i nostri titoli per molti l’unica speranza di perseguire i propri sogni è lasciare l’Italia!

Cosa prova quando si esibisce con l’orchestra?
Fare musica con un gruppo così numeroso come in un'orchestra moltiplica le energie e la forza espressiva in maniera esaltante. C'è in verità una qualche componente misteriosa che fa sì che le emozioni si unifichino e sintonizzino consegnando un messaggio emotivo potente e, nei casi migliori, irresistibile per il pubblico aperto a riceverlo. Ciò che spesso dico ai miei studenti di direzione è che dirigere non è comandare ma aprire il cuore al messaggio che il compositore mette nella partitura e avere il coraggio di essere vulnerabili di fronte ai musicisti esprimendo ciò che proviamo e aiutando ognuno ad esprimere se stesso con libertà, anche se guidato dalla nostra visione che unifica il pezzo nella sua interezza.

Tra tutte le innumerevoli esperienze professionali che ha vissuto quale ricorda con particolare soddisfazione?
Simeone Tartaglione
Quest’anno è stato molto emozionante. Il tutto esaurito al Kennedy Center di Washington con i Carmina Burana è stata un'esperienza straordinaria. Anche il debutto alla Disney Hall in Los Angeles lo ricordo con grande emozione. Ma probabilmente le due che più mi hanno colpito sono state il recente premio dell'Ilica come "Uomo dell’anno" a New York datomi dalla comunità italiana e l’esibizione per Papa Francesco durante la sua visita a Washington. Suonare alla Sua presenza, percepire la gioia e la speranza in un mondo migliore da parte dei 35.000 presenti e sapere che il tutto era visto sulla CNN da milioni di persone nel mondo ha rappresentato una data storica per la mia carriera e la mia vita privata.

Ha compiuto gli studi in Italia per poi perfezionarsi in America. Ha notato grandi differenze tra la preparazione offerta in Italia e quella in America?
Sono stato molto fortunato in Italia perché gli studi di pianoforte, con Laura Riolo e Livia Paunita, la musicologia con il Prof. Carapezza all'Istituto di Musicologia di Palermo, e Composizione e Direzione a Santa Cecilia a Roma con Procaccini e Aprea, hanno formato una coscienza musicale a tutto tondo. La grande differenza in America è l’attenzione verso il direttore come un CEO di un'azienda, un manager che deve sapere di musica ma anche di business. Quello che cerco di fare con i miei allievi è di bilanciare l’offerta formativa in questo senso e con maggiore attenzione all'opera. L’opera, al di là del valore inestimabile delle composizioni, è essenziale nella formazione dei musicisti perché aiuta a liberare l’espressione, a immaginare, a capire come il fatto emotivo può essere espresso in musica. E per i direttori è essenziale, infatti una sinfonia con una buona orchestra può arrivare alla fine senza grandi incidenti anche se il direttore è incapace, un'opera a meno che il direttore sia bravo cade a pezzi nelle prime 10 battute dopo l’overture!

Adesso che vive in America, come vede la musica classica italiana? Cosa apprezza e cosa invece cambierebbe?
In verità negli ultimi dieci anni la mia vita si è sviluppata fuori dall'Italia, quindi non sono al corrente delle ultime notizie. L’Italia è la patria della musica sotto molti punti di vista e quindi mi aspetto che la realizzazione di ottime produzioni continuerà. L'entusiasmo che noi italiani mettiamo in una produzione o concerto è esaltante, il nostro modo di fare musica continuerà ad ispirare e a fare scuola nel mondo. Quello che probabilmente l’Italia deve avere il coraggio di fare come società è rimpicciolire i contributi statali e prendere l'America a modello di equilibrio tra premio/punizione. Quando noi italiani tiriamo fuori il meglio siamo insuperabili.

Tornerebbe a vivere e a lavorare in Italia?
Penso di sì ma non so se stabilmente però. Dopo avere assaporato un sistema ben equilibrato avrei un po’ di titubanze a lasciarlo per un sistema che prova nel tempo di essere inefficace. Ma come il mio amato Maestro Meier ci diceva alla Johns Hopkins University "per essere direttori dovete essere ottimisti" e così per deformazione professionale credo che il meglio sia sempre possibile.
©DeniseInguanta

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