Continuiamo con la rubrica dedicata al grande Luigi Pirandello. Sei articoli, frutto di studi approfonditi, su sei tra le opere più conosciute del grande scrittore e drammaturgo agrigentino.
Oggi è la volta de “Il berretto a sonagli".
“Il berretto a sonagli”, opera di fondamentale importanza di Luigi Pirandello, fu rappresentato per la prima volta nel 1917 dalla compagnia di Angelo Musco, il grande attore siciliano che in quegli anni era amico e collaboratore di Pirandello; quella prima stesura, infatti, era in dialetto, col titolo "A birritta cu’ i ciancianeddi". Fu pubblicato poi, in una rivista e in italiano, l’anno seguente.
Luigi Pirandello |
“Il berretto a sonagli” appartiene dunque a una fase del teatro di Pirandello che si potrebbe dire «didattica», nella quale le commedie tendevano a ribadire, in modi comici o grotteschi e umoristici, le tesi nuove e dirompenti che erano ormai alla base della visione pirandelliana del mondo: il conflitto tra la maschera e il volto, cioè tra il parere e l’essere, o meglio ancora tra le convenzioni sociali e l’intima essenza dell’uomo; la relatività delle nostre credenze; l’irrazionalità del nostro agire; lo scontro, che può arrivare alla tragedia, fra l’uomo e il mondo he lo circonda e che gli impone opinioni e comportamenti. L’opera teatrale dovrebbe demistificare le convinzioni false che gli spettatori hanno condivise finora per educarli a una visione corretta dell’uomo e del mondo, e perciò in questo primo teatro pirandelliano ogni commedia ha un suo ero positivo, che enuncia le tesi rivoluzionarie dell’autore, in contrasto con tutti gli altri personaggi.
Qui portavoce di Pirandello è Ciampa, che in una cittadina siciliana fa lo scrivano di un avvocato e ha una moglie giovane e bella, che lo tradisce con il principale; e lui lo sa, ma, per tante umane dolorose ragioni, è disposto a tacere purché la cosa resti segreta e non gli sia strappata la maschera di marito felice, dell’onore intatto. La moglie dell’avvocato, gelosa, sta per rovinare incautamente la costruzione e Ciampa prima l’ammonisce, poi, quando quella ha fatto scoppiare lo scandalo, minaccia di uccidere i due adulteri: il solo rimedio che la società siciliana del tempo offra al marito tradito per lavare il suo onore. E finalmente Ciampa trova la via di salvezza nella finzione della pazzia: la moglie dell’avvocato si fingerà pazza e sarà ricoverata per qualche mese in una clinica di lusso; così le sue accuse potranno essere attribuite a una gelosia morbosa che l’ha portata alle soglie della follia: le convenzioni sociali saranno salve.
“Il berretto a sonagli” è dunque una commedia tipicamente pirandelliana, di una esasperazione spinta fino al grottesco, tanto nella paradossalità delle situazioni e delle soluzioni quanto nella dolente umanità sottesa alla comicità di superficie.
Il problema della maschera è, quindi, il contenuto del dramma di Ciampa, il colorito e carnoso porta-insegne del gran tema pirandelliano, l’eroe astuto e la vittima sofferente della parte. In lui quel tema si incarna davvero, diventa umanità e protesta sociale, si vive in tutte le possibili articolazioni della sua tragica e grottesca necessità, come condanna e come difesa, come ridicola esigenza di un inutile decoro esterno e drammatico bisogno di una consistenza: e si fa comportamento, ansia vitale, e persino pietosa salvaguardia dei sentimenti più veri, dialettica autentica di passione e ragione, di dolore e di simbolo.
Quando la maschera sociale è caduta e tutti intorno scoprono la sua infelicità coniugale, Ciampa rivela la sua anima, la piaga della sua umanità silenziosa; e a quella parte si abbarbica con la forza della disperazione, come a sua ultima ed unica difesa, come all’unica possibilità vitale che gli rimanga. Per essa, sperimentate invano le corde, le valvole sociali che l’uomo possiede, quella «civile», cioè l’ipocrisia dei patti sociali, e quella «seria», cioè la ragione, si predispone all’uso della corda «pazza», al gesto della ribellione, della finta follia, che la gente non crede, perché ciascuno accetta la pietà della menzogna o la comodità dell’ipocrisia.
Da qui ecco le amare parole: “Potessi farlo io, come piacerebbe a me! Sferrare, signora, qua… per davvero tutta la corda pazza, cacciarmi fino agli orecchi il berretto a sonagli della pazzia e scendere in piazza e sputare in faccia alla gente la verità”.
Non si rivelerebbe così disperatamente umana la ribellione di Ciampa, né così necessaria e smaniosa la difesa della sua piccola e ridicola parte, se il povero eroe non sapesse che quel vano gioco è solo un elemento di un gioco più misterioso e terribile: “Pupi siamo, caro signor Fifi! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti. Dovrebbe bastare, santo Dio, esser nati pupi così per volontà divina. Nossignori! Ognuno poi si fa pupo per conto suo: quel pupo che può essere o che si crede di essere”.
Ciampa difende fino allo stremo delle sue forze la sua finzione, il nascondiglio pietoso della sua piaga, proprio come chi sa che è quella, per quanto atroce ed ingiusta, la sua unica possibilità di vivere e di morire, come chi in definitiva per un attimo, ma eterno, ha saggiato in un improvviso naufragio il dramma dell’inconsistenza.
Ecco emergere, dunque, in un’opera così profonda come è “Il berretto a sonagli”, la teoria di Pirandello che riguarda le tre corde e che è perfettamente comprensibile dalle parole di Ciampa: “Non è questo signora mia. Vuol che gliela spieghi io, la cosa com’è? Lo strumento è scordato. […] La corda civile, signora. Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. Ci mangeremmo tutti, signora mia, l’un l’altro, come tanti cani arrabbiati. Non si può. Io mi mangerei, per modo d’esempio, il signor Fifì. Non si può. E che faccio allora? Do una giratina così alla corda civile e gli vado innanzi con cera sorridente, la mano protesa: «Oh quanto m’è grato vedervi, caro il mio signor Fifi» Capisce, signora? Ma può venire il momento che le acque s’intorbidano. E allora … allora io cerco, prima di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr’otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!”
©DeniseInguanta
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