Francesco Postorino è laureato in Giurisprudenza ed è Ph.D. in Filosofia politica e morale.
Ha approfondito le
sue ricerche presso l’Università Paris 1-Sorbonne. Si occupa soprattutto di
neoidealismo italiano ed europeo e di socialismo liberale. Collabora con alcune
riviste scientifiche e alle pagine culturali dei quotidiani. Tra le sue pubblicazioni:
Croce e l’ansia di un’altra città (Mimesis Edizioni), Carlo Antoni. Un filosofo
liberista, pref. di Serge Audier (Rubbettino); Democrazia in Lessico Crociano
(La Scuola di Pitagora ed.); Bobbio et le Marxisme (“Droit&Philosophie”).
Francesco Postorino |
Abbiamo dialogato con lui per approfondire un argomento tanto affascinante quanto difficile: “l’amore”.
Ha ottenuto grande riscontro tra i
lettori un tuo articolo sull’amore pubblicato di recente su L’Espresso, in cui
hai dato tante definizioni di questo sentimento. Ma in definitiva cos’è l’amore
per te?
Potrei scrivere lunghe pagine, lavorarci
giorno e notte, inventare teorie su teorie. Nei momenti di disagio o di
sconforto potrei domandare alla luna, spettegolare con il vento e sospendermi
tra i fili della purezza, ma non riuscirei ad afferrarne l’odore e il senso.
«Definire», infatti, significa prigione, congelamento, morte, finitudine,
passato, giudizio, matematica, bon ton. Molto meglio mettersi in ascolto
dell’amore e non dire nulla. Preferisco farmi parlare dai gesti, dalle smorfie
innocenti, dalle inquietudini, dalle panchine dell’amore. Anche i protagonisti
del Simposio di Platone arrossirebbero di fronte a un bacio adolescenziale che
accade un passo oltre il mondo. Quel bacio che sa continuare nella severità del
qui, ed è talmente forte che sovrasta le sceneggiate libertine, gli spettacoli
dell’inerzia, il grigio della «prima vita».
Nel tuo articolo accenni anche ad altri
tipi di amore.
Sì, vi sono mille declinazioni.
L’amore, ad esempio, per il volto di Gesù, per l’immensamente altro, per l’altrimenti,
per una trascendenza che grida empatia, un incontro speciale. L’amore di un
eterno che vuole abitare in noi. L’amore per una «seconda vita» che fa paura
perché sorride più al cielo che alle tenebre. L’amore, dunque, per
l’incondizionato, per il sublime, per un’idea alta e altra che il tempo non può
irretire. L’amore sofferto da Kierkegaard o quello ‘umanitario’, e ancora
l’amore che di improvviso scoppia nel cuore dell’Innominato e in chi ripudia i
lupi hobbesiani per assecondare la voce dello spirito. Pensiamo un momento al
pianto dell’intimo, e non a quello pornografico ambientato nei salotti mediatici;
se le lacrime sono il linguaggio più alto dell’amore, chi meglio della madre di
Cecilia (o di una qualunque madre) può capirne il segreto?
Davanti ai casi di femminicidio così
diffusi, qualcuno continua a parlare di troppo amore…
Il tema della violenza sulle donne
è molto serio, anche se a volte si esaurisce nella finzione cinematografica e
nel perverso apparire. Vi sono quelle circostanze del male che si consumano in
stanze tetre dove nessuna telecamera potrà mai arrivare. Mi riferisco alle
vittime che non hanno nessuna protezione, a coloro che non hanno più la forza
di alzarsi dopo le reiterate oscenità. L’amore non conosce violenza,
esattamente come la violenza ignora i dettami dell’amore. La tremenda storia di
Maria Goretti, paladina della purezza e della verginità, insegna quanto sia
prioritario guardare una donna con altri occhi. Anche una semplice carezza va
disegnata con molta cura. Bisogna iniziare dall’alfabeto dell’amore: i sorrisi,
le coccole, la libertà nella promessa, l’attesa, il perdono, la gioia del
cuore, la certezza che lei è unica ma anche l’unica, come direbbe Robin Williams
in Will Hunting-Genio Ribelle.
Qual è insomma il miglior modo di amare?
È sempre lo stesso sentire. Un sentire
che andrebbe vivificato tutti i giorni. Quando le farfalle e le sirene
giocano e scherzano dentro il tuo stomaco, visitando le ossa e le province più
nascoste, e ciò ti va ridere come uno scemo oppure soffrire, hai imboccato la
strada giusta. Il resto è, tanto per cambiare, sentirsi. Come dice il poeta
della notte: «Tu non hai idea da dove io provengo, noi non abbiamo idea di dove
andiamo. Alloggiati nella vita come rami nel fiume che scorrono a valle
catturati dalla corrente: io porto te, tu porti me».
Qual è l’ultimo libro che hai letto
sull’amore?
Ho riletto in queste ore il Quarto
Vangelo, quello della poesia, dello spirito e quindi dell’amore.
Ti sei occupato di democrazia per il
volume “Lessico crociano”. La democrazia è un tema di grande dibattito in
questo momento storico. Credi che andrebbe in parte collegata alla magia dell’amore?
In realtà, in quel volume
collettaneo ho provato a fornire in poche righe una interpretazione della
democrazia di Benedetto Croce, filosofo storicista cui sono legato sul piano
scientifico. Ma io ho altre visioni. Di primo acchito ti rispondo di sì. Al di là
degli esperimenti del vecchio Pericle, delle teorie formulate in tempi moderni
da Jean Jacques Rousseau, dell’impegno istituzionale, delle questioni tecniche
e normative anelate in modo emblematico da Norberto Bobbio, credo che la
democrazia sia un intrinseco che andrebbe esteriorizzato con autentica
passione. La democrazia, in altri termini, è la calda attenzione che l’uomo
offre al suo vicino e al suo «lontano», perché dischiude l’impronta dell’uguaglianza
e dell’isotimia, come la chiama Giovanni Sartori, cioè il valore dell’uguale
dignità da estendere – aggiungo io – all’ultimo degli ultimi: migranti,
prostitute, nuovi lebbrosi, drogati, malati di vario accento, i torturati da un
mare per nulla cristiano. Una democrazia in fieri e ontologicamente incompiuta,
che viva il sogno cosmopolita fuggendo dalle ombre dell’ipocrisia, senz’altro
occupa un ruolo di primo piano nella regia dell’amore.
Nel tuo ultimo volume, invece, utilizzi
la strana espressione – anche nel titolo – “ansia di un’altra città”. Si tratta,
immagino, di «ansia d’amore».
L’ansia di un’altra città è quando
si esce finalmente dalla schiavitù e si entra in modo maldestro nel deserto.
Quando il buio cede al primo appuntamento con la luce, e dunque si cerca, si è
ansiosi, non si è seduti. Quando si avverte che tutto questo non basta più, e
si ha fame di un altrove che a sua volta ti chiama. Non è meraviglioso? Si
torna bambini e si cammina con le allodole nelle praterie che ti attendono. Non
si è soli.
C’è un filosofo, in particolare, i cui
insegnamenti potrebbero essere in qualche modo utili per cercare di porre un
argine a questa società alla deriva, dove l’amore rischia di perdere il suo
nobile significato?
Pascal tutta la vita.
©DeniseInguanta
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