Lo abbiamo incontrato in occasione della registrazione del programma "Lettera D" in onda su Teleacras.
Sei autore del libro "Addio Mafia" che riguarda le vicende di Cosa Nostra e, in particolare, del boss Luigi Putrone, di cui se ne ricostruisce la storia, dall'affiliazione mafiosa alla latitanza, passando per il carcere fino a giungere alla cosiddetta redenzione.
Ho fatto, insieme al collega Gerlando Cardinale, un viaggio in una località segreta per incontrare Luigi Putrone in modo da tracciare insieme a lui la storia della guerra tra Cosa Nostra e Stidda e parlare del suo pentimento, che interessa lo Stato dal punto di vista delle rivelazioni e non da quello propriamente umano.
Gero Tedesco |
Come sei riuscito, davanti a tanto orrore, a mantenere la fredda lucidità di cronista? Ci si abitua alla ferocia e alla cattiveria umana?
E' brutto dirlo, ma in qualche modo ci si abitua. Anche perché trattando ogni giorno temi legati alla criminalità organizzata si è costretti a farlo, soprattutto per chi ha scelto di dedicarsi al giornalismo impegnato, che è molto diverso da quello routinario.
"Addio Mafia" vuole diffondere un messaggio positivo, ovvero non prestare il fianco alle organizzazioni criminali. Ma quanto è difficile non cadere in tentazione, visto che viviamo in un Paese dove ancora, purtroppo, il sistema mafioso è così radicato da controllare molti settori della nostra società?
Abbiamo scritto questo libro proprio per mantenere alta l'attenzione su questa tematica, nonostante spesso sentire parlare di Mafia infastidisce perché è un tema scottante. In Italia, come negli altri Paesi, la criminalità organizzata cerca di reclutare persone dove c'è disoccupazione e allarme sociale; infatti il Sud, in particolare Sicilia, Calabria e Campania, presenta un alto tasso di criminalità.
La Mafia è un atteggiamento, una forma mentis, o invece è un'organizzazione costituita da un numero quantificabile di persone?
La Mafia è un'organizzazione che ha una propria struttura e dei propri codici. Ovviamente è anche una forma mentis, infatti spesso si parla di atteggiamento mafioso, che non è soltanto quello del bullo ma anche quello adottato, talvolta, dalle persone di potere. Purtroppo dalle nostre parti questo tipo di atteggiamento è molto diffuso e spesso finisce con lo schiacciare i diritti della gente.
Per il "Giornale di Sicilia" hai seguito i più importanti processi di Mafia. Fino a che punto è giusto portare avanti dei processi facendo affidamento sulla credibilità dei cosiddetti pentiti?
Spesso si pensa che i processi di Mafia vanno avanti soltanto sulla base delle dichiarazioni dei pentiti, ma così non è perché quando c'è una dichiarazione di un collaboratore di giustizia ci deve essere un chiaro riscontro oggettivo. Magari le prime sentenze si basarono maggiormente sulle rivelazioni dei collaboratori di giustizia, adesso non è più così.
Giri l'Italia portando il tuo esempio di giornalista impegnato.Qualche anno fa, ad esempio, sei stato a Bergamo per partecipare al progetto legalità organizzato dalle scuole, mentre di recente sei stato a Forlì insieme a Ignazio Cutrò. Quanto è importante parlare di legalità e di lotta alla criminalità organizzata per tenere sveglie le coscienze davanti a questi fenomeni negativi? Pensi che stiamo rischiando un'assuefazione a questo genere di problematiche?
Forse in alcuni casi stiamo rischiando un'assuefazione, soprattutto al Sud; anche se nel corso delle esperienze che ho vissuto in giro per l'Italia, come nel caso di Forlì, ho notato la presenza di platee molto attente che vogliono conoscere e combattere la Mafia.
Cosa spinge un giornalista ad impegnarsi in una lotta così pericolosa come quella contro la Mafia: passione, senso di giustizia o c'è anche un pizzico di incoscienza?
Ci sono fondamentalmente la passione, la curiosità e la voglia di lavorare in un settore del giornalismo che ti mette alla prova ogni giorno dal punto di vista professionale, dove non puoi sbagliare perché ci si occupa di gravi reati e di processi. In questo tipo di cronaca l'opinione personale non esiste quasi del tutto, conta invece moltissimo lo studio e la ricerca degli elementi oggettivi. La scuola del giornalismo d'inchiesta è la migliore scuola perché ti prepara professionalmente sotto tutti i punti di vista.
Come cambia la vita di una persona che decide di dichiarare guerra alla Mafia, sia che si tratti di un uomo di legge o di un giornalista? Nel tuo caso hai dovuto mai cambiare abitudini di vita per paura di ritorsioni o conduci un'esistenza tranquilla?
Conduco un'esistenza normale, anche se in passato c'è stato qualche segnale di intolleranza da certi ambienti criminali. Ma la mia vita non è cambiata, ovviamente mi occupo di fatti che non fanno piacere a chi viene toccato dalle inchieste. Tuttavia sono sempre stato consapevole di questa situazione ma nonostante ciò non potrei fare altro tipo di giornalismo se non quello d'inchiesta, che è quello che più mi piace. Penso che la criminalità non debba essere combattuta solo dai giornalisti o dai poliziotti ma da tutti, anche se viviamo in una società che rischia di assuefarsi alla Mafia, che non è solo quella armata ma anche quella che spesso tende a nascondersi dietro ai poteri forti dei cosiddetti colletti bianchi.
Il tuo coraggioso impegno come giornalista antimafia e la tua professionalità sono stati premiati con numerosi riconoscimenti come il "Premio nazionale cronista dell'anno", il premio "Una penna per la legalità", il "Premio Pirandello" e il premio "Città di Viareggio". Qual è il premio che vorresti ricevere adesso e che reputi essere il più importante riconoscimento per un giornalista?
I premi fanno sempre molto piacere. Sono stato il primo a ricevere il premio "Una penna per la legalità" e il "Premio nazionale cronista dell'anno" è molto prestigioso. In realtà il vero premio che vorrei ricevere consiste nel dare nel mio piccolo un contributo a questa terra per cercare di migliorarla. Purtroppo è una terra che ha fatto dei passi indietro e, anche se la presenza della criminalità si avverte di meno rispetto agli anni passati in cui c'erano spesso stragi, nella vita civile e pubblica ci sono stati dei peggioramenti ai quali le persone, tranne rari casi, non si sono ribellate.
Sei stato autore di documentari e hai collaborato con diverse testate nazionali e internazionali, quindi sei un giornalista di grande esperienza. Quanto è importante per il nostro Paese potere fare ancora del buon giornalismo? Ma soprattutto esiste in Italia il giornalismo di qualità o piuttosto la stampa rischia di ridursi ad essere una macchina del fango e i giornalisti, in alcuni casi, si limitano a fare un'informazione copia e incolla e rischiano di diventare dei mercenari al soldo dei potenti?
Nel nostro Paese ci sono giornalisti bravi e meno bravi. Per ciò che riguarda il giornalismo d'inchiesta bisogna dire che necessita di coperture economiche, per cui bisognerebbe dare a tutti i cronisti che si occupano di questo campo delle possibilità economiche che consentano di svolgere al meglio la loro attività. Conosco molti colleghi bravissimi che vengono sottopagati o addirittura non pagati e questa situazione è gravissima per un territorio in cui c'è democrazia perché il ruolo del giornalista è importantissimo per la società.
L'ultima domanda la voglio fare all'uomo Gero Tedesco anziché al giornalista, anche se sono convinta che la tua professione ti influenzerà nella risposta. Per te qual è la più grande differenza tra un bambino e un adulto?
E' una domanda particolare. Il bambino mantiene ancora una sorta di bellezza della vita che andando avanti con gli anni va scemando. Molto spesso l'adulto viene corrotto dall'arrivismo e dall'ambizione e, spesso, finisce con lo scendere a compromessi. Anche se credo che, nel caso della mia professione, un buon giornalista non debba scendere mai a compromessi e dovrebbe agire secondo coscienza. Questa è sicuramente la base per essere non solo un buon giornalista ma anche un buon cittadino.
©DeniseInguanta
Da "Lettera D", 3° puntata, in onda su Teleacras
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