giovedì 26 febbraio 2015

QUELLA BUONA MORTE, CHIAMATA "EUTANASIA", PRATICATA ANCHE IN ITALIA

In Italia è ancora un tabù. Spesso, quando se ne parla, i medici fanno spallucce evitando l'argomento. 
Eppure esiste ed è praticata anche nel nostro Paese, sebbene è considerato un azzardo dirlo.
Stiamo parlando dell'eutanasia o "buona morte". Da noi è praticata celatamente negli ospedali per questo viene definita "eutanasia silenziosa". 
Nessuno si scandalizzi. Da fuori, quando si sta bene, non ci si rende conto di quanto sia difficile ritrovarsi in quelle condizioni. Ed è altrettanto complicato prendere una decisione da parte dei familiari.
Qualcuno pensa che sia una questione di religione; ma quando ci si trova in un letto, ridotti ad uno stato vegetativo, siamo sicuri che sia sempre lecito sperare in un "miracolo"?
Allora, spesso, molto spesso, si ricorre all'eutanasia silenziosa. Intendiamoci, non si tratta di staccare la spina. 
La normativa in Italia obbliga medici e infermieri a nutrire e idratare anche un vegetale. In queste condizioni un paziente può vivere per anni. Il caso di Eluana Englaro è stato di esempio. 
Si tratta, semmai, di non accanirsi. Chiariamo meglio; ci sono farmaci che regolano la pressione arteriosa e le funzionalità respiratorie. I medici possono, in accordo con le famiglie, smettere di somministrarli. 
Non è un po' come staccare la macchina? Bene, questo in Italia si fa.
Naturalmente, in questi casi, i medici si trovano a soppesare le parole, senza mai pronunciare esplicitamente il termine "eutanasia" perché sarebbe illegale; si limitano a far capire ai congiunti che c'è la possibilità di non accanirsi su chi oramai non ha più speranze. 
Una decisione così difficile da prendere trova i familiari sempre indecisi, titubanti, perché subentrano sentimenti, paure e sensi di colpa.
Ma perché si possa effettuare l'eutanasia silenziosa occorre un tacito accordo tra le parti, tra personale medico e famiglie, perché in assenza di un testamento biologico la legge è fiscale e si corrono rischi giudiziari enormi.
Spesso ci si chiede perché i medici affrontino un argomento così spinoso. Purtroppo i posti letto non sono infiniti e ci sono molti pazienti che possono farcela ma che hanno bisogno di un ricovero. E' crudele dirlo ma è così. 
Dall'altra parte, invece, ci sono le famiglie che hanno perso la speranza di vedere i propri congiunti ritornare ad una vita normale e pensano che la buona morte sia l'unica soluzione.
In mezzo a tanto dolore e a tanta incertezza non sarebbe meglio se ognuno potesse scegliere di andarsene in modo dignitoso, senza subire accanimenti terapeutici? D'altronde esiste già la possibilità di decidere di donare gli organi perché, allora, non stabilire che tipo di morte fare se sfortunatamente si finisce ridotti allo stato vegetativo? L'Italia dovrebbe essere un paese civile; dunque perché non discutere di una questione così importante?
Magari è il caso di riflettere.
©DeniseInguanta

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