venerdì 12 giugno 2015

MATTEO COLLURA: "LA SCRITTURA E' LA MIA FORMA D'ARTE"

Matteo Collura, giornalista e scrittore, dopo una giovanile esperienza nel campo dell'arte si è dedicato alla scrittura pubblicando nel corso degli anni numerosi libri e dedicandosi, in modo particolare, alla figura di Leonardo Sciascia, di cui è biografo.
Lo abbiamo incontrato in occasione della registrazione del programma "Lettera D" in onda su Teleacras.

E' da poco uscita la sua ultima fatica, "La badante". Il suo libro si occupa della terza età e racconta la storia di un professore in pensione che viene assistito da una badante rumena, una donna affascinante nella sua semplicità.  Questo è l'ultimo dei tanti libri che ha scritto, ma quando è nata la sua passione per il giornalismo e la scrittura?
Matteo Collura
La passione per la scrittura precede quella per il giornalismo. Io sono fondamentalmente un artista e inizialmente, dopo avere fatto la scuola d'arte, mi sono dedicato alla pittura. Successivamente ho iniziato ad occuparmi di scrittura e di giornalismo. Per me la scrittura era una continuazione in meglio della pittura e mi gratificava dal punto di vista artistico. Mi reputo un uomo fortunato perché faccio il lavoro che più mi piace.

Ha scritto numerosi libri. Qual è quello a cui è più legato e perché?
Forse quello a cui sono più legato è "Alfabeto eretico", il cui titolo fu lievemente cambiato in occasione del ventennale della morte di Leonardo Sciascia in "Alfabeto Sciascia", che è una specie di dizionario del mondo pubblico e privato dello scrittore siciliano.

Lei è il biografo di Leonardo Sciascia, di cui è stato anche grande amico. Qual è il messaggio più a importante che questo notevole scrittore ci ha lasciato attraverso i suoi scritti?
Sicuramente quello di restare uomini liberi, qualunque mestiere si faccia; in particolare cercare di restare liberi dal bisogno. Se si ha il necessario non si dovrebbe aspirare ad avere di più a qualunque costo perché la lusinga del guadagno spinge spesso ad azioni pericolose. Lo stesso Sciascia rinunciò ad avere guadagni notevoli pur di restare un uomo libero.

Adesso vive a Milano, ma si è occupato molte volte della Sicilia. Cosa le manca di questa meravigliosa isola?
Francamente la Sicilia non mi manca perché fortunatamente, pur vivendo da anni fuori, posso tornare spesso nella mia terra. Porto sempre nel cuore questa isola ma ho scelto di vivere a Milano per lavorare nel "Corriere della sera", realizzando in questo modo il mio sogno. La Sicilia, naturalmente, è stata molto importante per la mia formazione giovanile. In definitiva vivo bene a Milano, pensando alla Sicilia da lontano e ritornando spesso.

Sulla base della sua lunga esperienza crede che in Italia ci sia realmente libertà di stampa?
Credo che la libertà prima di tutto sia dentro di noi. In tanti anni di attività giornalistica non mi è mai stato imposto di trattare gli argomenti in determinati modi e ho lavorato in diverse testate come "Il giornale di Sicilia", "L'ora", "Il mattino" di Napoli e "Il corriere della sera". Naturalmente un professionista deve comunque seguire in linea di massima la linea editoriale del giornale.

Negli ultimi mesi stiamo assistendo all'atroce propaganda degli uomini dell'Isis che attraverso video sconvolgenti seminano il terrore in Occidente. Da giornalista pensa che sia giusto mostrare immagini violente per dovere di cronaca o crede che anche l'informazione debba fare un passo indietro quando si tratta di mostrare immagini che violano il rispetto della dignità umana?
Sono per una forma di censura che non viene imposta dallo Stato ma da noi stessi come esseri umani. Io stesso mi censuro in molte cose proprio perché me lo impone il mio gusto, la mia cultura e la mia sensibilità. Credo che diffondere le immagini degli uomini dell'Isis, assetati di sangue, sia solo un modo per incoraggiarli, per questo penso non sia giusto; anche perché potrebbero esserci dei giovani attratti da questo tipo di gesti che per noi sono repellenti ma che per qualcuno potrebbero rappresentare uno stimolo ad azioni criminali.

Scrive di cultura per il "Corriere della sera". Che cosa pensa dell'attuale situazione culturale italiana? Crede che la crisi ha posto un freno al suo sviluppo o, al contrario, nonostante tutto, stiamo assistendo al rafforzarsi del desiderio da parte di piccole organizzazioni private di portare avanti nuove attività culturali, un po' come è accaduto nel caso dell'editoria che ha visto nascere nuove piccole case editrici che, nonostante le difficoltà, credono fermamente nel loro operato?
Penso che la cultura sia più viva che mai in Italia, lo dimostrano i numerosi festival organizzati. Certo la crisi ha inciso in qualche modo, come anche la tecnologia che ha tagliato molti posti di lavoro. Sono uno dei pochi che ogni giorno acquista i giornali, molti invece non usano più carta e penna. In generale, comunque, credo che la cultura funzioni nel nostro Paese soprattutto quando è legata allo spettacolo; pensiamo ad esempio alla lettura dei "Dieci Comandamenti" in televisione da parte di Roberto Benigni, che ha riscosso notevole successo.

Stiamo vivendo una situazione delicata in cui si parla di scontro tra religioni. E' credente? Come si pone nei confronti delle altre religioni?
Non sono credente. Ho una mia religiosità legata all'età perché ad un certo punto della vita si cerca sempre qualcosa che sia più grande di noi. Trovo che quando la religiosità si allontana dalla filosofia per diventare puro insegnamento dottrinale e rituale può essere pericoloso. Ma se la religione, qualunque essa sia, mira a far crescere lo spirito non può che essere un fenomeno positivo. D'altronde la religiosità è insita dentro di noi. A me basta l'insegnamento di Kant: "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me" e trovo fondamentale il fatto di amare il prossimo, non perché ci sia un compenso finale ma per un senso di umanità. 

Un'ultima domanda. Come comincerebbe la sua autobiografia e, soprattutto, ha mai pensato di scriverla?
No, non ci ho mai pensato. Penso però che valga sempre la pena di vivere la vita. Qualche anno fa la Mondadori pubblicò un libro che riguardava l'epitaffio scritto in vita, che era una raccolta di epitaffi di scrittori ma anche di altri professionisti in diversi settori, e quando mi fu chiesto il mio epitaffio io pensai a questa frase: "Ne valeva la pena". La vita è un'occasione bellissima che ci viene data e per questo va vissuta pienamente. Abbiamo il dovere di essere felici.
©DeniseInguanta 
Da "Lettera D", 2° puntata, in onda su Teleacras


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