mercoledì 10 giugno 2015

BENIAMINO BIONDI, IMPEGNO SOCIALE E DEDIZIONE ALLA CULTURA

Beniamino Biondi, agrigentino, classe 1977, dopo avere compiuto studi classici ed essersi laureato in Giurisprudenza si è dedicato alla cultura e all'impegno sociale. E' scrittore, saggista, poeta e regista.
Lo abbiamo incontrato in occasione della registrazione del programma "Lettera D" in onda su Teleacras.

E' da poco uscito il tuo nuovo libro, "Il cimitero del sole", edito da Pungitopo. 
Si tratta di un volume che prosegue il mio impegno nei confronti del cinema giapponese. In "Il cimitero del sole" mi occupo precisamente del cinema giapponese della Nouvelle Vague degli anni '60 e  faccio una ricognizione dei registi di quel periodo che in Italia non sono molto conosciuti.
Beniamino Biondi

Oltre ad occuparti di cultura hai anche dimostrato di avere a cuore il destino del centro storico di Agrigento, in particolare dei vicoli a sud di via Atenea, e ti sei adoperato per il suo recupero. Quanto e perché è importante valorizzare i quartieri più antichi e disagiati delle città?
Sono sempre stato innamorato del centro storico che è sinonimo della vita culturale cittadina, che vivo anche collettivamente con numerosi ragazzi, i quali fanno parte di diverse associazioni attive in città. Agrigento è stata assaltata da un muro di cemento e il centro storico rappresenta la parte che è rimasta illesa da questa modernizzazione selvaggia; ecco perché è importante ripartire da lì. La mia primissima esperienza è legata al Funduk, uno spazio vicino a Santa Maria dei Greci, che abbiamo fatto rivivere organizzando numerosi eventi culturali come esibizioni di musicisti, mostre e recitazioni di monologhi. Da lì ci siamo spostati verso un'altra zona del centro storico, il quartiere di via Vallicaldi, e da quel momento il rapporto tra le diverse associazioni interessate al recupero di questa parte del territorio si è concretizzato ancora di più, rappresentando così un momento importante per la vita sociale e culturale di Agrigento.

In che modo la cultura può salvare il territorio, in particolare i quartieri storici?
La cultura può salvare il territorio perché i centri storici, in particolare, rappresentano l'identità di una città, per cui l'impegno per il centro storico non può che essere un impegno culturale. Per Agrigento è necessario svolgere un'intensa attività di pedagogia sociale attraverso la cultura, anche per consentirci di vivere di turismo attraverso una stretta connessione tra la Valle dei Templi, il centro storico e il resto della città.

Beniamino Biondi si occupa anche di poesia, infatti hai diretto l'edizione delle poesie complete di Aldo Braibanti e hai organizzato convegni che lo riguardavano. Che cosa ti ha affascinato particolarmente di questo poeta, sceneggiatore e drammaturgo italiano?
Ho conosciuto Aldo Braibanti tramite uno scrittore che ha segnato la mia adolescenza ma anche il mio presente culturale che è Pier Paolo Pasolini. Mi sono, infatti, imbattuto nel suo nome leggendo intorno ai 16 anni un libro di Pasolini, "Dialogo con i lettori di Vie Nuove". Intorno al 2000 ho conosciuto personalmente Aldo Braibanti a Roma e successivamente ho trascorso alcuni anni vivendo proprio nella sua casa. Ho poi deciso di curare l'edizione delle sue poesie complete. Per me Aldo Braibanti è stato un secondo padre, la persona che mi ha insegnato di più della vita, al di là della cerchia dei miei familiari. E' stato un esempio di rigore morale e di grandissima libertà.

Dato che lo hai conosciuto personalmente, quale messaggio emerge dalla sua intensa attività di intellettuale?
Penso che il messaggio più importante che emerge dalla sua attività di intellettuale, che è stata molto frastagliata poiché era una sorta di filosofo immerso nel mondo moderno e si occupava di tutto lo scibile in modo non solo teorico ma anche molto umano, è stato quello di una grande spregiudicatezza culturale che coincide perfettamente con il senso più autentico della libertà umana. Tra l'altro faccio parte insieme agli amici più cari di Aldo Braibanti di una fondazione che sta per nascere e che si occuperà della tutela e della valorizzazione delle sue carte che sono state donate al suo comune di nascita, Fiorenzuola D'Arda. La fondazione si occuperà di pubblicare i suoi libri, molti dei quali sono inediti.

Hai scritto diverse raccolte di poesie come "Cherosene" e "Antipoemi". Qual è il messaggio più importante che vuoi comunicare attraverso i tuoi versi?
La poesia è stato il mio primo amore e ho affidato ai versi la parte più intensa e privata di me. Ho sempre rifiutato la linea lirica e petrarchesca italiana e ho amato i poeti americani e tedeschi che mi hanno influenzato in fase di scrittura. Ciò che più mi interessa della poesia, più che il contenuto, è il linguaggio. Vedere la poesia come operazione linguistica è l'unico modo per far sopravvivere e valorizzare i versi nella società contemporanea.

Nel tuo libro "Corpi della metafora. Paradigmi (Post)moderni" ti sei occupato di diversi temi: il silenzio, il corpo, la metropoli, l'erotismo, gli oggetti e le cose. Qual è il filo conduttore che ti ha spinto a indagare su tematiche così diverse tra loro?
Nel corso degli anni, soprattutto quando vivevo a Pescara e a Roma, mi sono occupato anche di saggistica letteraria e ho diretto con alcuni amici una rivista di filosofia che si chiamava "Perimetro". Alla fine di questa esperienza ho ritenuto importante raccogliere questi scritti, sparsi sulle riviste e su altre sedi editoriali, in un volume unico che fa riferimento anche alle altre attività di cui mi occupo. Quindi si tratta di numerosi temi che ho affrontato nella mia attività poetica ma anche nei miei studi sul cinema.

Ti sei occupato di cinema underground e di cinema straniero - dal cinema greco a quello catalano, fino a giungere al cinema giapponese - scrivendo libri come "Fata Morgana", "Prometeo in seconda persona" e "Giappone underground". Parliamo invece del cinema di casa nostra, visto che ti è possibile fare un confronto. Pensi che in Italia si faccia ancora cinema di qualità?
Credo che in Italia si faccia pochissimo cinema di qualità. Non ho mai amato particolarmente il cinema italiano, fatta eccezione per i grandi registi come Pasolini, Rossellini, Fellini e pochi altri, e ho sempre preferito il cinema straniero, in particolare quello dei paesi su cui ho poi scritto i miei volumi. Comunque credo che la ragione per cui oggi non si faccia più buon cinema sia legata al fatto che oggi produrre un film è, anche dal punto di vista economico, molto più semplice ma ciò ha determinato un decremento culturale che porta a rappresentare storie poco significative. L'Italia in passato ha vissuto un momento florido per ciò che riguarda il cinema, legato allo sviluppo di Cinecittà ma anche alla presenza di cineasti che erano veri e propri uomini di cultura. Oggi, purtroppo, sono venuti a mancare proprio questi grandi uomini di pensiero che avrebbero potuto proiettare la loro visione del mondo nei film; si trattano, invece, storie minute che onestamente mi interessano poco.

Oltre al cinema ti occupi anche di teatro. Hai scritto, infatti, numerosi libri al riguardo come "Teatro minimo". Inoltre hai diretto "Cattive" di Francesca Cosentino, un'opera che si compone di cinque differenti monologhi di donne che recitano il trauma della loro stessa vita. Com'è stato dirigere in teatro un'opera tutta al femminile? Quali ricordi e sensazioni ti ha lasciato questa esperienza?
Le mie esperienze teatrali si sono svolte soprattutto fuori Agrigento e sono state tutte esperienze molto significative. Una mia opera, "Cariocinesi", è stata pubblicata da una rivista spagnola molto importante ed è stata messa in scena a Madrid nel 2003. Quindi c'è stato un momento della mia vita in cui mi sono dedicato molto al teatro. Ad Agrigento le possibilità per occuparsi di teatro sono abbastanza ridotte. C'è stata un'esperienza isolata legata proprio a "Cattive", di cui ho fatto una regia innovativa perché ho inframmezzato ai monologhi delle sequenze cinematografiche. Ho instaurato un rapporto intenso con le attrici e la parte sicuramente più divertente è stata proprio caratterizzata dal rapporto tra un uomo nei panni di regista e le cinque protagoniste. Questa è stata, forse, anche la parte più problematica che è però diventata fonte positiva di espressione artistica. E' stata davvero una bella esperienza che spero di ripetere con altre mie opere, anche utilizzando un importante spazio come il Teatro della Posta Vecchia. Tra l'altro sto lavorando ad una commedia che spero di terminare prima possibile, in modo da poterla mettere in scena anche nella mia città.

Tu sei un intellettuale. Ma qual è il tuo primo ricordo culturale?
Credo sia la lettura di "Agostino" di Alberto Moravia, che è stato il primo libro importante della mia vita. Sono stato avviato precocemente alla lettura senza alcuna forma di pressione e questo mi ha garantito una naturale autonomia verso la letteratura. Ho impresso nella mia mente un ricordo legato ad una domenica pomeriggio in cui io, che allora avevo 14 anni, sfogliando i libri della biblioteca di mio padre, trovai questo libro che consumai in un pomeriggio. Mi colpì molto la vicenda di questo ragazzo e gli altri episodi che facevano da corollario alla storia. Questo ricordo mi è rimasto molto impresso, forse perché legato a un periodo di formazione. Un altro ricordo culturale, che invece riguarda il cinema, a cui sono molto legato è un film che ho visto a 17 anni del regista polacco Krzysztof Zanussi e che si intitola "Illuminazione". Si tratta sicuramente del più bel film che io abbia mai visto.

Un'ultima domanda. Un bambino ti chiede: "Perché si muore?" Da uomo di cultura, cosa rispondi?
Credo che non avrei una risposta chiara e il senso della mia correttezza si risolverebbe in un silenzio carico di profondità e di pensiero. Il mio silenzio rappresenterebbe il punto di non ritorno dell'umanità che un uomo possa provare. Inoltre ritengo che l'unica battaglia che possa affrancarci da tutti i mali che ci affliggono e che possa liberare il nostro essere per aiutarci a mostrarci autenticamente uomini sia la battaglia della cultura.
©DeniseInguanta 
Da "Lettera D", 1° puntata, in onda su Teleacras




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