mercoledì 5 maggio 2021

Covid-19, un anno dopo: a che punto siamo?


Ad oltre un anno dall’inizio della pandemia che ha tragicamente cambiato le vite di tutti, è lecito farsi una domanda: a che punto siamo?

Quando l’anno scorso si è improvvisamente presentato quello che è il fenomeno epidemiologico più grave degli ultimi decenni, tutte le istituzioni e le popolazioni del mondo intero si sono trovate impreparate ad affrontare una situazione così grave e difficile da gestire: mancavano la conoscenza di cure adeguate e posti letto negli ospedali necessari per i ricoveri dei casi più gravi. Come all’arrivo di un uragano, siamo stati travolti dal Coronavirus e siamo rimasti in balia di esso per mesi, fino a quando, in estate, la situazione sembrò essersi placata; ci fu chi, addirittura, ipotizzò che fosse tutto finito e che la pandemia fosse ormai solo un brutto ricordo. Ma è bastato l’arrivo di ottobre perché la situazione si aggravasse nuovamente e si determinasse l’ennesimo stato di emergenza.

Ne è seguito un altro lungo periodo di sconforto e sofferenza, con chiusure a colori, tra zone gialle, arancioni e rosse, crisi economica e ancora tante morti dovute alla diffusione del virus.

La situazione al momento non è migliorata, nonostante l’arrivo dei vaccini. Al contrario, i casi continuano a esserci e il Covid-19 fa ancora molta paura.


Covid-19 


Dunque, a che punto siamo? La campagna vaccinale, che è da sempre stata considerata l’unica via per uscire dall’attuale situazione, non sta funzionando come dovrebbe, basti pensare ai vari intoppi dovuti ad alcuni vaccini che, ad un certo punto, sono stati considerati poco sicuri; inoltre il coordinamento nei centri vaccinali quasi sempre manca di buona organizzazione, con file, e quindi assembramenti, che troppo spesso mettono a dura prova le direttive anti Covid. Per non parlare delle lunghe liste d’attesa che bisogna aspettare per il proprio turno di vaccinazione; unica deroga a tanta attesa è stata l’idea di concedere a determinate fasce d’età la possibilità di vaccinarsi negli hub appositi senza doversi prima prenotare.

Altro punto negativo è la gestione della situazione sanitaria da parte dei medici di famiglia, che, in alcuni casi, non sono ancora in grado di gestire la cura dei propri pazienti che si trovano in isolamento domiciliare, nonostante vi sia stato più di un anno di tempo per potersi organizzare. Non bisogna dimenticare che, per evitare la degenerazione della situazione sanitaria, la prima arma efficace contro il virus è costituita dalle cure domiciliari, basate su farmaci facilmente reperibili e vitamine fondamentali per il rafforzamento dell’organismo. I medici sono e saranno sempre preziosi ma la loro competenza e professionalità, a volte, non sempre per fortuna, lasciano a desiderare.

Tra tutte le varie pecche organizzative, vi è anche il problema dei tamponi. In alcune zone del Paese, quando si hanno dei sintomi anche lontanamente riconducibili al Covid (che poi si sa, qualsiasi sintomo può essere ormai ricondotto al virus) e ci si rivolge al medico di famiglia, quest’ultimo, talvolta, anziché cercare minimamente di capire qual è il problema, chiede che venga fatto un tampone rapido. Ora, i tamponi rapidi sono a pagamento (per la gioia dei tanti laboratori di analisi che stanno letteralmente rimpinguando le loro casse) e per di più sono, per la maggior parte dei casi, inattendibili, pertanto si finisce a dovere fare comunque il tampone molecolare, rimanendo bloccati a casa per giorni in isolamento fiduciario in attesa dell’esito che, talvolta, tarda ad arrivare, per poi scoprire, magari, che si è negativi.

Nel frattempo, in balia della disorganizzazione più desolante, molte persone sono costrette a non potere curare le proprie patologie.

E le USCA sono sempre celeri nell’effettuare i tamponi a chi lo richiede oppure si rischia di aspettare del tempo prima di ricevere un tampone di controllo che attesti o meno la negativizzazione dalla malattia? Per non parlare del fatto che talvolta le ASP continuano a tenere reclusi in casa coloro che, pur essendo guariti da giorni, restano in attesa del foglio di permesso che consenta loro di uscire.

Altro tema dolente è rappresentato dalle scuole: dirigenti scolastici e docenti si adoperano in mille modi affinché le scuole siano luoghi sicuri, ma non è minimamente ipotizzabile che gli alunni siano veramente ligi alle regole anti contagio; dall’uso della mascherina al distanziamento, è tutto un continuo richiamarli all’ordine. Sicuramente la Dad, con tutti i suoi limiti legati alla mancanza di mezzi e, nella maggior parte dei casi, di partecipazione da parte dei ragazzi, è uno strumento prezioso per continuare a portare avanti la didattica e il rapporto umano con gli alunni, ma adesso, nonostante il governo non abbia fatto assolutamente niente per migliorare la situazione negli istituti scolastici, docenti e studenti si ritrovano a dovere ritornare a scuola in presenza, anche nelle zone rosse, senza nessuna garanzia a tutela della salute e con i contagi che continuano a galoppare. Quindi cosa è cambiato in questi mesi? Perché adesso bisogna tornare a scuola se comunque, nonostante molti siano stati vaccinati, il virus non si è fermato e i rischi per la salute sono ancora troppi? Dirigenti, docenti, ATA e alunni sono forse carne da macello?

Infine bisogna chiedersi cosa è stato fatto per tutte quelle attività che in questi mesi sono state costrette, più o meno a fasi alterne, a restare chiuse o comunque hanno subito forti limitazioni. L’Italia, a differenza di molti Paesi europei, non è stata in grado di fornire il giusto supporto economico a queste attività; il settore della ristorazione, quello del turismo e della cultura, ma anche i centri commerciali, per fare solo un esempio, sono quelli che insieme a tanti altri stanno subendo il danno economico maggiore. E, come se non bastasse, si continua ancora a parlare di coprifuoco e di limitazione della libertà (chiamatela come volete ma questo è), quando invece basterebbero più controlli e multe salate a chi, persone o attività, infrange i protocolli di sicurezza mettendo a repentaglio la salute di tutti.

Che piaccia o no, il virus esiste e provoca dolore e morte, ma quanti lutti e sofferenze avremmo potuto risparmiarci se l’emergenza fosse stata gestita diversamente? Ricordiamoci che è già passato più di un anno ed è cambiato ben poco. Quante volte dovremmo essere ancora privati della libertà prima che il governo capisca come bisogna agire per limitare i danni che questo virus provoca?

Così, mentre i politici continuano a litigare tra loro per accaparrarsi potere e voti e si tenta di annichilire il diritto alla salute pubblica anziché aprire nuove strutture o potenziare gli ospedali per gestire l’emergenza, si innesca un pericoloso meccanismo di speculazione finanziaria che sta portando all’arricchimento di pochi o, per meglio dire, dei soliti furbetti che, come avvoltoi, sfruttano la sofferenza dei più per fare i propri sporchi interessi.

Un bilancio negativo, dunque, quello che viene fuori da un’attenta analisi della situazione pandemica. Situazione che al momento, purtroppo, non prevede risvolti positivi, almeno nell’immediato.

©DeniseInguanta

 Articolo presente su InfoAgrigento














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