Sarebbe
stato svelato, grazie a un gruppo di fisici e di informatici che sono ricorsi a
un algoritmo, il mistero della Lettera del diavolo.
Si tratta della missiva conservata nel monastero di clausura di Palma di Montechiaro, vicino Agrigento. Scritta in caratteri incomprensibili, sarebbe stata consegnata a suor Maria Crocifissa della Concezione, al secolo Isabella Tomasi, dal diavolo in persona nella notte dell’11 agosto del 1676.
Si tratta della missiva conservata nel monastero di clausura di Palma di Montechiaro, vicino Agrigento. Scritta in caratteri incomprensibili, sarebbe stata consegnata a suor Maria Crocifissa della Concezione, al secolo Isabella Tomasi, dal diavolo in persona nella notte dell’11 agosto del 1676.
Lettera del diavolo |
Il
demonio avrebbe dettato personalmente il contenuto della lettera alla suora,
per farla cadere in tentazione e pare che la religiosa, dopo averne appreso il
contenuto, cioè una richiesta a Dio di lasciare gli uomini liberi di peccare, e
dopo una lotta estenuante con un gruppo di demoni, si sia rifiutata di
firmarla e consegnarla a Dio, come richiesto dal diavolo, scrivendo solo
«ohimè».
Poco
dopo la suora fu trovata riversa per terra nella sua cella, in stato di
agitazione, con «mezza faccia sinistra imbrattata di nero inchiostro».
L’episodio
storico è citato nel romanzo “Il Gattopardo” e se ne è occupato anche Andrea
Camilleri nel libro “Le pecore e il pastore”, insieme alla misteriosa storia che
racconta di alcune suore del monastero che si sarebbero lasciate morire come
forma di sacrificio per ottenere la guarigione del vescovo gravemente ferito in
un attentato.
La lettera riporta undici righe, che ricordano a prima vista un po’ il greco classico e un po’ l’alfabeto cirillico; undici righe che sembrano raccontare qualcosa.
La lettera riporta undici righe, che ricordano a prima vista un po’ il greco classico e un po’ l’alfabeto cirillico; undici righe che sembrano raccontare qualcosa.
Così
un gruppo di fisici e di informatici del Ludum Science Center di Catania
ha preso in mano la lettera per decifrarla.
Abbiamo
inserito nel programma - spiega Daniele Abate, responsabile del gruppo
- l’alfabeto greco, quello latino, quello runico (delle antiche popolazioni
germaniche) e quello degli yazidi, il popolo considerato adoratore del diavolo
che abitò il Sinjar iracheno prima della comparsa dell’Islam, tutti alfabeti
che suor Maria Crocifissa poteva avere visto o conosciuto. L’algoritmo prima
individua i caratteri che si ripetono uguali, poi li compara con i segni
alfabetici più simili nelle varie lingue».
Così sono emerse frasi come: «Forse ormai certo Stige» (Stige è uno dei cinque fiumi degli Inferi secondo la mitologia greca e romana) e «Poiché Dio Cristo Zoroastro seguono le vie antiche e sarte cucite dagli uomini, Ohimé», e infine: «Un Dio che sento liberare i mortali».
«L’idea
che mi sono fatto – dice Abate – è che questo sia un alfabeto preciso,
inventato dalla suora con grande cura mischiando simboli che conosceva. Ogni
simbolo è ben pensato e strutturato, ci sono segni che si ripetono,
un’iniziativa forse intenzionale e forse inconscia. Lo stress della vita
monacale era molto forte, la donna potrebbe avere sofferto di un disturbo
bipolare, allora non c’erano farmaci né diagnosi psichiatriche. Certamente
c’era il diavolo nella sua testa».
In
effetti, pare che vi siano dei documenti nello sconfinato archivio segreto del
Vaticano in cui si parla proprio di questa nobile monaca isterica, delle sue
visioni, delle sue lotte col diavolo. Il Vescovo la venerava e le credeva, il
Papa e la Sacra congregazione dei Riti invece no. Poco mancò che non
intervenisse il Santo Ufficio e la monaca finisse al rogo. Ma aveva lo zio
Cardinale e per questo veniva tutelata.
©DeniseInguanta
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