lunedì 26 gennaio 2015

La precarietà della condizione dei giovani come metafora della morte dei progetti degli individui di ogni fascia d'età


Oggi parlare di precarietà del lavoro è una chiara metafora della precarietà di vita di ogni singolo individuo che si trova ad affrontare la difficile situazione sociale che purtroppo caratterizza l’attuale periodo storico.

La chiamano “crisi economica”, ma forse è meglio chiamarla “crisi globale”, cioè crisi delle relazioni interpersonali, crisi delle aspettative personali di ogni singolo individuo, crisi delle speranze e addirittura crisi dei sentimenti.

La mancanza di prospettive professionali porta con sé un’irrimediabile catastrofe sociale perché i giovani si sentono smarriti nel vuoto della mancanza di certezze. E questo smarrimento sociale è l’inizio della perdita dell’identità di ogni individuo. Ciò perché un individuo si sente realmente completo quando è libero di esercitare la professione che più rispecchia le sue capacità.

Se il lavoro manca, manca l’intero sistema di vita.

Se i giovani non hanno un lavoro finiscono per portare un irrimediabile danno all’intera società formata da persone di ogni fascia d’età.

Da questo sistema così doloroso vengono travolti anche gli adulti che si trovano a doversi preoccupare per la mancanza di prospettive future dei loro figli, troppo spesso diventati adulti anche questi ultimi.

E se non si formano più famiglie è perché molte persone sono penalizzate dall’impossibilità di mettere su casa e di diventare genitori, dato che ormai è diventato un lusso anche questo.

Ed è per questo che la precarietà della condizione professionale dei giovani porta con sé anche la precarietà dei sentimenti, infatti oggi, troppo spesso, è diventato quasi vietato legarsi sentimentalmente a qualcuno perché non ci sono prospettive economiche sulle quali fondare un futuro di coppia.

La precarietà ha ucciso i sogni di tutti e pochi, forse, hanno ancora il coraggio di sognare un futuro degno dei tanti anni di sacrifici spesi a studiare sui libri e nei corridoi delle università.

Qualcuno, come il giovane ricercatore palermitano Norman Zarcone, ha deciso di mollare perché è stato deluso nelle proprie prospettive professionali e ha smesso di credere che il futuro potesse sorridergli.

E la situazione è sempre più allarmante perché sempre più giovani sono senza lavoro così come confermato dai dati diffusi dall’Istat. Per cui la preoccupazione di sindacati, economisti e associazioni di consumatori cresce sempre di più.

Si parla di “emergenza nazionale”, di “misure urgenti”e di “terapie d’urto che favoriscano quelle imprese che potranno far riprendere i livelli occupazionali con un lavoro non occasionale ma di qualità”.

Occorrono riforme immediate che però nessuno propone in modo efficace.

L’Italia è un paese che urge un’intensa opera di svecchiamento, fatto però con i giusti metodi, riconoscendo il dovuto a chi lavora da una vita.

È necessario un ricambio generazionale affinché sia data ai giovani la possibilità di immettersi nel mondo del lavoro.

Sarebbe auspicabile per tutti riuscire ad ottenere nel corso del tempo magari meno beni materiali superflui ma più certezze di vita.

©DeniseInguanta

Articolo presente anche in 
Agrigento Oggi




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